Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa
Il brigantaggio italiano, inteso come frutto di attività criminali, è considerato endemico del paese a partire dal mondo romano. Già nel 185 a.c. il pretore Postumio organizzò grandi spedizioni di polizia per la repressione di questo fenomeno. In epoca medievale esso si sviluppò soprattutto nell’Italia centro-settentrionale. Attualmente il termine brigantaggio viene riferito soprattutto a quella realtà che si sviluppò dopo l’unità d’Italia nel Mezzogiorno e nei libri di scuola lo troviamo associato al banditismo, come fosse un prodromo della delinquenza organizzata. In realtà non è così, la verità, infatti è più vicina a quanto scrive Francesco Saverio Nitti nei suoi Scritti sulla questione meridionale (Bari, 1958, pag. 44), “per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa”.
Emblematica in questo senso può considerarsi la storia di Francesca la Gamba, detta la capitana, che volle rendere giustizia anzitutto a se stessa e alla propria famiglia, ma che, anche dopo aver realizzato la sua vendetta, continuò a combattere.
Di lei Giuseppe Silvestri Silva nel suo saggio: Memorie storiche di Palmi (1807), scrisse:” «Scorreva le campagne, da Scilla ai Piani della Corona, una donna forte e battagliera più che non si convenga al suo sesso».
Francesca era una giovane donna, nata a Palmi nel 1768, lavorante presso le filande nella Calabria di fine Settecento, attività industriali che i fratelli Caracciolo avevano iniziato a impiantare in quel territorio intorno all’ultimo decennio del XVIII secolo.
A 18 anni si sposò con un certo Saverio Saffioti e da lui ebbe due figli, Carmine e Domenico. Ben presto conobbe la vedovanza. Dalla figura avvenente e con un carattere volitivo, non tardò a risposarsi con Antonio Gramuglia. Dopo il matrimonio i due si trasferirono a Bagnara, paese natale del marito, e lì dalla loro unione nacque Rosa, la terza figlia di Francesca. Aveva già 38 anni quando un ufficiale a servizio dei Francesi, che occupavano la Calabria nel decennio 1806- 1816, si invaghì di lei. Lei sì difese respingendolo, e lui per vendetta, in un primo momento fece arrestare il marito con l’accusa di traffico illecito di armi, poi successivamente fece incolpare due figli maschi della donna, ancora adolescenti, di tradimento per aver organizzato un’attività clandestina contro i francesi. Tutto questo costò la vita ai due giovani, che furono processati e condannati alla fucilazione. Antonio Gramuglia , qualche giorno dopo l’esecuzione dei due ragazzi, morì di rabbia e di dolore.
Francesca, invece, al contrario del marito, acquistò forza, trovando nella vendetta lo scopo della sua vita. Così abbandonando gli abiti femminili decise di aggregarsi ad una banda di briganti, che aveva stabilito il suo quartier generale sui piani della Corona ma che fino ad allora si era limitata ad assaltare diligenze al “Passo di Caracciolo”.
La tenacia, il coraggio e intuizione militare con cui combatteva meritarono l’ammirazione dei briganti stessi, tanto che presto divenne la capobanda dei suoi stessi compagni, meritando l’appellativo di Capitanessa.
Incredibilmente, fu proprio in uno scontro con i francesi, in cui peraltro lei e i suoi amici erano stati accerchiati dagli avversari, che Francesca trovò la sua vendetta. Stavano per soccombere quando riuscirono a collegarsi con altre bande di briganti e insieme, sferrando una forte controffensiva, prevalsero sugli avversari, catturando molti prigionieri, tra questi vi era il responsabile della morte dei figli di Francesca. Quest’uomo, ferito, le venne condotto innanzi; lei non ebbe pietà e lo uccise squartando.
Allora si diffuse la leggenda della sua invincibilità.
Francesca continuò a combattere gli odiati francesi.
All’arrivo in Calabria del principe Luigi d’assia, che voleva riconquistare la parte continentale del regno dei Borbone, la capitanessa offrì il suo aiuto e quello della sua banda, così il 28 maggio del 1807 partecipò alla battaglia di Mileto. Dopo di ciò molti dei briganti da lei comandati divennero soldati dell’esercito borbonico e forse essa stessa venne nominata capitano.
L’ultimo combattimento di cui si ha memoria della brigantessa di Palmi fu quello durante l’assedio di Genova nel 1812 per liberare la città dai francesi.
Francesca La Gamba si spense nella sua città, Palmi, nel 1816, quasi cinquantenne.