di Lucia Di Mauro
Il libro “Uomini del sud…visti da vicino” di Fiore Marro viene descritto come un libro di interviste, tuttavia questa definizione, anche se oggettivamente legittima, risulta essere parziale. In realtà, nel progressivo scorrere delle pagine, ci si rende conto che ogni intervistato regala al lettore un pezzo del proprio percorso di vita.
Non fraintendetemi, non si tratta di biografie, ma piuttosto, a tratti, di confidenze rivelate ad un amico, poiché in effetti questa è la strada scelta dell’autore stesso: presentare persone che in qualche modo, anche episodicamente, hanno saputo creare un legame con lui.
In questo senso emerge con forza la “sua” Caserta, territorio portatore di eccellenze sociali, economiche, culturali, storiche, ma soprattutto valoriali: l’humus delle Due Sicilie che sottende tutto il libro.
Così veniamo a sapere che per Gennaro, il 7 settembre 1993, la vita cambiò e quel tal Movimento diventò parte della sua storia personale e familiare; che Lorenzo deve a suo figlio l’aver intrapreso la strada contro corrente della verità storica; che Mimmo ha scoperto nella Torino anni ’70, da ragazzo emigrato con tutta la famiglia, ciò che amerà e porterà nelle sue canzoni per tutta la vita. Nell’immaginario il nonno di Antonio racconterà anche a noi di quando i piemontesi bruciarono la sua città Gaeta, e Alberto ci porterà allo stadio con le sue 100 bandiere duosiciliane. Conosceremo Charles, avvocato newyorkese, di famiglia napoletana emigrata nelle Americhe, che inizia a studiare il napoletano durante il liceo perché vuole capire di più della nostra storia, avendo trovato, nella biblioteca di famiglia, le opere di Carlo Aianiello e Giacinto De’ Sivo. Andremo con Davide a casa di sua nonna e ascolteremo le tre sue zie nubili parlare un napoletano strettissimo, ricco di termini oggi dimenticati, ma che insegneranno al nipote l’orgoglio di quella lingua, tanto da farlo diventare il promotore ed insegnante dei corsi di napoletano più apprezzati in Italia, forse nel mondo. E vivremo l’amarezza di Alessia mentre ci racconta il suo vissuto di emarginazione al nord, ma anche del suo orgoglioso ritorno.
Non è un libro “privato” ma intimo e personale certamente, perché “intimo” è un ideale, “intima” è una passione sociale o politica, “personale” è dissotterrare caparbiamente le proprie radici.
Questo, in definitiva, è il filo rosso che lega queste cinquanta storie, nate in paesi lontanissimi tra loro e nelle situazioni di vita più diversificate: ritrovare la propria identità di cultura, di tradizione, di lingua, facendosi strada nella nebbia dell’occultamento e delle troppe bugie, tramite quei perché nati nella carne viva di ogni esistenza degli uomini e donne del sud.
Cinquanta voci di un immenso coro che, dalla Calabria agli USA, dalla Sicilia all’Argentina, da Milano al Brasile, dall’Australia alla Basilicata e da tanti angoli remoti del mondo, in cui un paese patrigno le ha costrette ad emigrare, gridano verità, chiedono giustizia, cantano un antico inno, squarciando il pesante velo che ha voluto coprire la nostra storia.
In questo si rivela l’appartenenza ad un popolo, ovvero nel custodire, anche inconsapevolmente, la propria memoria, magari nascosta in un vecchio libro di famiglia.
Questa memoria, affinché diventi ricordo perenne, viene consegnata dall’autore, nella sua dedica iniziale, ai propri figli, come un passaggio di testimone, come preziosa eredità!
(Lucia Di Mauro)