Due giugno all’italiana: festa della repubblica!

di Lucia Di Mauro

Napoli, 2 giugno 2020

C’è da chiedersi cosa sarebbe oggi l’Italia, come forma di stato (perché nazione mai è stata), se non fosse esistita la propensione agli imbrogli di coloro che volevano determinarne le sorti.

Falsi i vari plebisciti tenutisi, dopo i fatti “risorgimentali”, in tutta Italia, quando gli elettori furono chiamati a votare mediante in SI o un NO, rispondendo alla seguente domanda: “Il popolo vuole l’Italia una ed indivisibile, con Vittorio Emanuele, re costituzionale, e suoi legittimi discendenti?” La vittoria dei si fu largamente aiutata dall’imposizione “manu militari” dei governo piemontese: tutti coloro che votavano NO venivano uccisi.

Falso anche il plebiscito del 2 giugno 1946, quando pare che gli italiani scelsero la vittoria della repubblica contro la monarchia. In realtà le cose andarono differentemente dalla narrazione ufficiale. Esiste, infatti, la testimonianza di un allor giovane brigadiere Tommaso Beltotto, che vide pacchi su pacchi (“Così grossi che ci si potevano infilare le braccia”) di schede, tutte già votate, e tutte con la croce sullo stesso segno: a sinistra, sull’Italia turrita che simboleggiava la Repubblica, contro la monarchia rappresentata dallo scudo dei Savoia.

Nacque la Repubblica che si reggeva burocraticamente su due pilastri, i partiti e il Parlamento, e ideologicamente su due tipi di culture antitetiche ma entrambe antirisorgimentali, la cattolica e la marxista.

Nazione e stato si scissero nuovamente, dopo che per la prima volta avevano visto il loro matrimonio alla fine della Prima guerra mondiale, quando il fango delle trincee consolidò l’idea di nazione una ed indivisibile. Dunque dopo la seconda guerra mondiale stato e nazione, o meglio stato e le tante piccole nazioni contenute nella penisola italica, presero nuovamente strade distinte: lo stato era uno per una mare di identità, tradizioni, lingue, culture diverse in esso contenute. Anche dal punto di vista economico, nel momento in cui tutti potevamo partire dallo stesso drammatico livellamento, fu scelto di favorire solo una parte del paese, quella settentrionale, permettendo si sviluppasse a disfavore dell’altra parte, quella meridionale.

Nel dopoguerra quindi, le tante nazioni italiane, non potendosi identificare in un unico stato, anzi percependo l’unità con diffidenze e ostilità, si divisero in due schieramenti: comunisti PCI e cattolici DC. I primi, “puristi” di una giustizia sociale che condensava in se tutti i valori, ma all’italiana, quelli che poi si chiameranno i cattocomunisti; i secondi, che rappresentavano il mondo cattolico, che si reggeva sull’anticomunismo ma anche sui “notabili locali e sulla rete d’interessi alimentata dall’ininterrotta permanenza al governo”.

Poi il ’68 politico nei suoi estremismi portò agli anni di piombo, che, a mio avviso, di fatto terminarono con l’ascesa di Craxi, che stroncò il consociativismo, non permettendo a frange estreme di arrivare al potere.

Poi mani pulite e l’avvento del Berlusconismo che segna l’ascesa in politica di una classe economico finanziaria, già di fatto al potere, ma che in qualche modo, fino ad allora, doveva ottenerlo piegandosi al dialogo con la politica. Bene, con Berlusconi la mediazione politica viene eliminata e il potere diventa arroganza.

I privilegi che prima erano prassi nascosta, ora diventano diritti da sbandierare, non ultimo lo sfruttamento e l’umiliazione del sud che diviene moralmente legittima, perché proveniente da quella parte d’Italia “che lavora”.

Da Forza italia al renzismo, tutto è epigono dell’origine fino ad arrivare ai 5stelle, che proponendosi come forza (non partito) antisistema, sembra poter raccontare epiloghi differenti. Ma i grillini implodono in se stessi, sgretolandosi nelle similitudini con gli altri partiti.

Guardo immagini in TV dove si documentano le manifestazioni in piazza, al tempo del covid e degli assembramenti proibiti, fatti proprio il 25 aprile e il due giugno. La conduttrice si chiede perché proprio in queste due date, “forse il messaggio è che gli italiani vogliono manifestare contro uno stato in cui non si riconoscono?”- chiede preoccupata la giornalista.

Ridicola domanda, penso tra me, non si sa se formulata per ignoranza o malafede. Spengo.

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